Diversi studi suggeriscono una correlazione indiretta tra perdita uditiva e depressione. E la motivazione di questa associazione è abbastanza facile da intuire: chi sente poco è più incline ad isolarsi e a vivere una quotidianità meno appagante, con inevitabili ripercussioni sul benessere mentale.
A partire da questo legame tra perdita di udito e depressione, un team di studiosi statunitensi e canadesi ha provato a rispondere ad un quesito piuttosto intrigante: la perdita di udito può rappresentare un criterio “utile” per prevedere anche la depressione?
“Nessuno studio precedente ha tentato un approccio di apprendimento automatico contemporaneo per prevedere la depressione utilizzando predittori di perdita dell’udito soggettivi e oggettivi”, si legge dalle righe del paper pubblicato sulla rivista scientifica di settore, Ear and Hearing.
L’obiettivo degli autori, quindi, era implementare l’apprendimento automatico supervisionato, ovvero un algoritmo che consente di elaborare automaticamente previsioni sui valori di due fattori x e y sulla base di una serie di esempi ideali. Nel caso specifico, perdita di udito e depressione.
In questo modo, i ricercatori volevano prevedere i punteggi su una scala di depressione convalidata utilizzando variabili audiometriche soggettive e oggettive, oltre ad altri fattori predittivi.
Deficit uditivo e grado di prevedibilità della depressione: lo studio
I ricercatori hanno estrapolato dati e parametri necessari per il calcolo dal database National Health and Nutrition Examination Survey 2015-2016.
Dagli esiti è emerso che la frustrazione a causa della perdita dell’udito era il quinto parametro più influente. Dei primi 10 predittori cinque erano correlati a contesti sociali, due ad una significativa esposizione al rumore, altri due riguardavano parametri audiometrici oggettivi e una era inerente all’acufene.
Il dato interessante emerso dallo studio è la capacità degli algoritmi di prevedere i punteggi della scala di depressione in base ai predittori audiometrici, sebbene quelli più influenti siano di matrice sociale, a discapito invece dei test audiometrici oggettivi.
Di conseguenza, un approccio simile probabilmente pecca di una sufficiente impronta oggettiva. Ad ogni modo, secondo gli autori, questi modelli potrebbero essere utili per predire i punteggi della scala della depressione al punto da poter prendere in considerazione la possibilità di integrarli in una valutazione audiologica standard.