Diversi studi epidemiologici hanno mostrato un’associazione tra presbiacusia (la perdita di udito legata all’invecchiamento) e la comparsa della sindrome di Alzheimer, una malattia neurodegenerativa progressiva e irreversibile del cervello che compromette la quotidianità di chi ne soffre poiché altera alcune funzionalità cognitive fondamentali come memoria, pensiero e capacità di giudizio.
Sebbene sia possibile che le due condizioni possano essere correlate e avere persino fattori di rischio comuni come ipotizzato da alcuni ricercatori (fattori ancora non emersi), le basi neurobiologiche della relazione tra ipoacusia e Alzheimer non sono ancora del tutto chiare.
Uno studio del 2021 – pubblicato su Frontiers – ha provato a fare chiarezza misurando la relazione tra volumi cerebrali e perdita di udito tra un campione di persone con declino cognitivo lieve e Alzheimer.
“Abbiamo esaminato i dati di risonanza magnetica volumetrica da controlli cognitivamente normali, soggetti con lieve decadimento cognitivo e soggetti affetti da Alzheimer con o senza segnalazioni di perdita di udito, utilizzando un set di dati pubblicamente disponibile”, precisano gli autori dello studio.
Gli esiti dello studio
È stato scoperto che nei soggetti con Alzheimer e perdita dell’udito, i volumi del tronco cerebrale e del cervelletto erano più piccoli rispetto ai soggetti senza perdita dell’udito.
A conforto di questa relazione, i ricercatori hanno osservato una riduzione dei volumi cerebrali più rapida tra le persone con perdita uditiva, con una relazione diretta tra le due variabili.
I dati raccolti suggeriscono che l’ipoacusia è legata alla patologia del tronco cerebrale e del cervelletto, ma solo nel contesto dello stato patologico dell’Alzheimer. “Ciò suggerisce che la deafferentazione acustica può innescare patologie del tronco cerebrale e che la perdita dell’udito può portare a una riorganizzazione patologica a livello del tronco encefalico e del cervelletto, che può portare a una più ampia patologia dell’Alzheimer”, osservano gli autori.
“Pertanto, saranno necessari lavori futuri, in particolare studi su larga scala in cui sia i livelli dell’udito che i volumi della risonanza magnetica sono misurati quantitativamente, per esaminare più da vicino la relazione tra i danni all’udito e le variazioni del volume cerebrale”, si legge tra le conclusioni.
Ad ogni modo, anche in questo caso emerge quanto l’ipoacusia possa influenzare le funzionalità cognitive e, di conseguenza, quanto sia importante prendersi cura dell’udito per mantenere la qualità di vita desiderata nella terza età.